ULTIM’ORA DIPENDENTI, se stai male non prendi 1 euro: l’Inps non ti paga più nulla | Trattati come animali pronti per il macello

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Quando l'Inps non paga la malattia nel 2025 - circuitolavoro.it

L”INPS non paga più i dipendenti in caso di malattia: la legge che in pochi conoscono, fino a quando non arriva la busta paga più bassa.

Nulla è per sempre, nemmeno i pagamenti dell’INPS. Quando si parla di malattia di un dipendente, si tocca un tema delicato, perché coinvolge un diritto del lavoratore, ma anche un dovere per l’azienda. A prendere le redini è spesso l’Inps: quando l’assenza si prolunga, è l’ente a farsi carico dell’indennità. Ma anche quest’ultimo, adesso, può decidere – grezzamente parlando – di chiudere i rubinetti.

Quello che molti non sanno, appunto, è che l’Inps non copre sempre l’assenza per malattia. C’è un limite preciso, ma in pochi lo conoscono fino al momento in cui si ritrovano con la busta paga tagliata e nessuna spiegazione. Eppure, la normativa è chiara: ci sono casi in cui l’Inps smette di pagare, e da lì il rischio non è solo economico. In gioco c’è molto di più.

Come funziona la malattia retribuita: quello che devi sapere

Quando un dipendente si ammala, la retribuzione non sparisce immediatamente. Nei primi tre giorni di assenza – il cosiddetto ‘periodo di carenza’ – è il datore di lavoro a farsi carico della retribuzione, salvo diversa previsione del contratto collettivo. Dal quarto giorno in poi subentra l’Inps: per i lavoratori del settore privato, l’indennità copre il 50% della retribuzione fino al ventesimo giorno e il 66,66% dal ventunesimo al centottantesimo giorno.

Ma attenzione: l’Inps non garantisce una copertura illimitata. E qui arriva il punto chiave: quando smette di pagare?

Stetoscopio sopra banconote euro: malattia retribuita
Malattia retribuita, fino a quando – circuitolavoro.it

Quando l’Inps non ti paga più: la regola che in pochi conoscono

Se l’assenza supera i 180 giorni nell’anno solare, cambia tutto. L’Inps chiude il rubinetto, senza possibilità di proroghe, a meno che il contratto collettivo non preveda tutele aggiuntive (cosa molto rara). Il problema è che basta un incidente importante per superare tale soglia.

Dal 181° giorno, chi è ancora malato si ritrova senza stipendio e, spesso, anche senza un posto di lavoro. Il rischio reale è il licenziamento per superamento del periodo di comporto, ossia il tempo massimo concesso per assentarsi senza perdere il lavoro.

La durata del comporto varia da contratto a contratto, ma una volta terminato, il datore può procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Esistono casi particolari in cui viene concessa un’aspettativa non retribuita, una sospensione che salva il posto per qualche mese, ma senza stipendio. Misure rare, che non tutti i contratti prevedono.

Insomma, finché si è in salute va tutto bene. Ma quando la malattia si allunga, la realtà è molto più brutale di quanto si pensi: si rischia di essere scaricati senza pietà.