Ti cambiamo posto di lavoro e non puoi dire nulla anche se lontano: la legge è già firmata dalla Meloni | Se ti opponi licenziamento istantaneo

Trasferimento di lavoro- Foto di Liza Summer da Pexels-CircuitoLavoro.it
Ci sono alcuni casi in cui bisogna spostarsi obbligatoriamente dal proprio luogo di lavoro per ritrovarsi presso un nuovo impiego altrove: ecco quando non ci si può opporre al trasferimento.
Il tema dei trasferimenti lavorativi accende il dibattito pubblico ed è tornato al centro della scena dopo una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha chiarito alcuni aspetti delicati del rapporto tra datore di lavoro e dipendente.
Il caso che fa da esempio è quello di una lavoratrice che si è rifiutata di prendere servizio nella nuova sede assegnata. La donna ha sollevato dei dubbi sulla legittimità del trasferimento.
Da parte sua l’azienda non ha valutato le rimostranze della dipendente, ha considerato l’assenza ingiustificata e ha avviato la procedura per il licenziamento.
La Suprema Corte si è quindi espressa in merito, ribadendo il principio secondo il quale il lavoratore non può rifiutare automaticamente la prestazione lavorativa.
Trasferimenti di lavoro: quando sono considerati legittimi
La giurisprudenza stabilisce quindi che, anche quando un trasferimento viola l’articolo 2103 del Codice Civile, che tutela il lavoratore contro spostamenti arbitrari, questi è tenuto a valutare la situazione e non può rifiutare a priori. Secondo la normativa vigente, il datore di lavoro può trasferire uno o più dipendenti da un’unità produttiva all’altra solo in presenza di comprovate esigenze tecniche, organizzative o produttive. Queste motivazioni devono essere reali, oggettive e sussistenti al momento in cui viene decisa la nuova assegnazione.
Un aspetto meno noto è quello dell’incompatibilità aziendale. Si tratta di situazioni in cui il comportamento del dipendente, pur non essendo formalmente sanzionato, crea un clima lavorativo destabilizzante o ostacola il corretto funzionamento dell’organizzazione. In questi casi, il trasferimento può essere legittimo anche senza un’esigenza strettamente tecnica.
Cosa può fare il dipendente di fronte ad un trasferimento non voluto
Il datore è autorizzato a scegliere chi spostare e dove, senza vincoli di durata, ma bisogna rispettare i principi generali di correttezza e buona fede. Nel caso di comprovate difficoltà familiari, infatti, l’azienda è obbligata a valutare un’eventuale soluzione alternativa. Dal canto suo il lavoratore ha il diritto di opporsi al trasferimento entro 60 giorni, formalizzando e motivando il rifiuto in forma scritta. Nei successivi 180 giorni è necessario attivare una causa o una procedura di conciliazione.
Il rifiuto è considerato legittimo solo in specifici casi: deve essere proporzionato alla gravità dell’inadempimento datoriale, non deve infrangere il principio di buona fede e deve accompagnarsi a una disponibilità concreta a lavorare presso la sede originaria. In mancanza di questi presupposti, il rifiuto può essere interpretato come assenza ingiustificata e può comportare il licenziamento per giusta causa.