“Non puoi licenziarmi, lo dice la legge”: scatta il provvedimento LAVORO A VITA | Non possono più mandare via nessuno

Licenziamento ingiusto- Foto di Tima Miroshnichenko da Pexels-CircuitoLavoro.it
Una sentenza rivoluzionaria della Cassazione tutela i lavoratori da alcune circostanze che potrebbero portare al licenziamento. Ecco quando non possono mandarti via.
La sentenza n. 5936 del 6 marzo 2025, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio destinato a far discutere nell’ambito delle motivazioni che possono portare al licenziamento.
Un’azienda non può licenziare un dipendente per frasi offensive o discriminatorie pronunciate in una chat privata tra colleghi. Neanche quando i toni utilizzati risultino inaccettabili.
Al centro della vicenda giudiziaria c’è la delicata questione della riservatezza delle conversazioni tra lavoratori, anche se contenute in messaggi vocali dai toni violenti o volgari.
Il caso ha riguardato un dipendente che è stato allontanato dall’azienda dopo che alcuni messaggi, rivolti al suo superiore e scambiati in un gruppo WhatsApp chiuso, erano stati diffusi.
Chat privata tra colleghi su Whatsapp: i messaggi non comportano il licenziamento
La Suprema Corte ha dichiarato del tutto illegittimo il licenziamento, garantendo il diritto del lavoratore ad esprimersi. Non solo: l’articolo 15 della Costituzione italiana garantisce la protezione della segretezza delle comunicazioni, che in questo caso è stata violata. Nello specifico i giudici hanno analizzato il caso scaturito da un gruppo WhatsApp denominato “Amici di lavoro”, composto esclusivamente da colleghi. All’interno di questa chat, il lavoratore aveva inviato messaggi vocali con insulti e frasi a sfondo razzista contro il proprio team leader.
La scoperta dei contenuti da parte dell’azienda ha portato al licenziamento immediato. La Cassazione ha ritenuto i messaggi insufficienti per giustificare il licenziamento, considerando la natura privata della conversazione. Gli scambi di battute erano infatti rivolte esclusivamente a un ristretto gruppo di colleghi e non al pubblico indistinto. Altre sentenze avevano già ribadito questo concetto, come n. 170/2023 della Corte Costituzionale. La Cassazione, poi, si era già espressa in merito con la sentenza n. 21965/2018, delineando i confini tra comunicazione privata e comportamento sanzionabile in ambito lavorativo.
Il diritto alla privacy tutelato dalla Corte di Cassazione, anche di fronte al licenziamento
Dal canto suo l’azienda ha provato ad opporsi, richiamando l’articolo 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e la salute dei dipendenti. Anche in questo caso la Cassazione ha risposto prontamente. La Corte ha chiarito che questo obbligo non può travolgere il diritto alla privacy, soprattutto quando le espressioni incriminate restano confinate in uno spazio privato.
Si è tenuto in considerazione anche il modo in cui sono stati diffusi i messaggi. Un collega presente nel gruppo ha segnalato la conversazione all’azienda, che non ha potuto così avere accesso diretto alle prove. Per i giudici, questo dettaglio non basta a legittimare l’utilizzo delle conversazioni a fini disciplinari.