Licenziamento, la sentenza della Cassazione uccide i lavoratori: basta una lettera e sei rovinato | Rimani senza stipendio e non puoi farci niente

Licenziamento, la sentenza della Cassazione uccide i lavoratori: basta una lettera e sei rovinato | Rimani senza stipendio e non puoi farci niente

Licenziamento - circuitolavoro.it

Non importa se il dipendente abbia ragione: alcune mosse false del lavoratore possono far scattare il licenziamento.

Il rapporto tra dipendente e datore di lavoro è sempre stato complesso, indipendentemente dal clima che si respira o dal fatto che si vada d’accordo. Il punto principale è che il primo ha come obiettivo far valere i suoi diritti e svolgere le sue mansioni, mentre il secondo deve portare avanti un’azienda e creare armonia nell’ambiente di lavoro. Due focus differenti, che in caso di avversità finiscono inevitabilmente per scontrarsi.

Per questo motivo esistono contratti di lavoro che cercano di coprire quanto più possibile ogni situazione, spiegando regole che il dipendente non può violare. Quest’ultimo è altresì tutelato dalla legge, forse addirittura più di chi lo assume. Eppure, come ci spiega la legge, non tutto è lecito per il lavoratore: una parola di troppo, un passo falso, possono dare al datore di lavoro il diritto di licenziarlo in tronco. Tuttavia, pochi lo sanno. E la cosa che lascia più perplessi? Spesso è proprio il datore di lavoro a provocare certe reazioni.

Quando il licenziamento in tronco è legittimo

La tutela del lavoratore ha dei limiti ben precisi. Se il dipendente oltrepassa certe soglie di correttezza, il licenziamento immediato diventa possibile. Non basta discutere o criticare: serve qualcosa di più grave.

È il caso di una dipendente che, prima, aveva accusato ingiustamente alcune colleghe e, poi, davanti a più testimoni, aveva insultato apertamente il datore di lavoro. Nonostante un clima già teso, la Cassazione ha dato ragione al datore: insultare il capo davanti ad altri danneggia in modo irrimediabile l’immagine aziendale e rompe il vincolo di fiducia. E no, non importa se è stato quest’ultimo a provocare.

La fiducia è la base di ogni rapporto lavorativo. Se viene compromessa così gravemente, il datore ha diritto di interrompere subito il contratto. La semplice critica non basta: per giustificare il licenziamento in tronco servono fatti gravi, come ingiurie, diffamazione o comportamenti che screditano l’azienda o la persona, senza possibilità di recupero. Tuttavia, va anche valutata la situazione emotiva del dipendente: in quel caso potrebbe scattare l’illegittimità del licenziamento.

Dipendente e datore di lavoro che inscenano un litigio
Aggressione verbale: in quali casi non prevede il licenziamento legittimo – circuitolavoro.it

Quando la reazione emotiva salva il posto di lavoro

In un altro caso, una governante di un grande hotel, umiliata e sospesa senza spiegazioni, reagì con un alterco acceso contro il direttore. A quanto pare quest’ultimo l’ha lasciata a casa per un breve periodo con lo scopo di provare una nuova lavoratrice. Una volta scoperto il piano, la donna si è lasciata andare alla rabbia.

La Corte ha capito che quella non era un’aggressione gratuita: era un’esplosione emotiva, frutto della paura di perdere il lavoro. Non c’erano diffamazioni vere, né insulti lesivi della dignità altrui.

Per questo motivo il licenziamento è stato giudicato illegittimo: lo sfogo umano, anche se acceso, non ha spezzato il rapporto fiduciario come avrebbe fatto un insulto deliberato. La differenza sta tutta nell’intenzione e nella gravità delle parole: sfogarsi non è come diffamare.