“Lei non ha diritto alla pensione”: dopo 30 anni di lavoro ti lasciano in mezzo a una strada, sta succedendo a tutti | Trattati come scarafaggi

Niente pensione dopo 30 anni di lavoro - circuitolavoro.it
Non importa se una persona ha lavorato 20 o 30 anni: molte casistiche non danno l’accesso alla pensione di vecchiaia nemmeno a 67 anni.
Andare in pensione a 67 anni sembra ormai diventata la regola fissa, il punto d’arrivo da tenere d’occhio per chiunque voglia uscire dal mondo del lavoro – quantomeno con un importo dignitoso.
Basta raggiungere l’età e avere almeno 20 anni di contributi – così si dice, così si scrive. Ma quello che spesso viene dimenticato, o messo tra parentesi, è un dettaglio tutt’altro che secondario: quei contributi non possono essere qualunque.
Perché sì, 67 anni e 20 anni di versamenti rappresentano la base della pensione di vecchiaia, ma il vero nodo sta nella qualità di quei contributi. E proprio qui inizia la parte meno raccontata – quella che rischia di lasciare a mani vuote chi ha lavorato per anni, ma in modo discontinuo, con contratti part-time, stipendi bassi o con pagamenti in parte in nero.
“Ah, io in pensione non ci andrò mai” – ma stavolta non è solo una battuta
Quante volte ci siamo sentiti ripetere questa frase da amici o colleghi? Sempre detta con un sorriso amaro, come se fosse solo uno sfogo. Eppure, dietro questa frase apparentemente esagerata, si nasconde una realtà che sta colpendo molte più persone di quanto si pensi.
Il punto è che – per quanto suoni assurdo – lavorare trent’anni non basta. Perché l’INPS non guarda solo alla durata del lavoro, ma al livello di contribuzione effettivamente accreditata. E lì arrivano le sorprese.
Questo è successo a una donna che, arrivata a 67 anni con alle spalle 30 anni di lavoro da segretaria, ha presentato domanda di pensione convinta di aver diritto a un assegno, seppur modesto. Invece, l’INPS ha respinto la richiesta. Il motivo? Come riportato da Money.it, la donna non ha “diritto alla pensione” poiché i contributi versati nel corso della carriera – in buona parte part-time e con retribuzioni basse – non raggiungevano il minimo necessario per validare 20 anni pieni.
Anno dopo anno, molti periodi risultavano incompleti o insufficienti. E come a lei, questo potrebbe accadere a chiunque. Facciamo due calcoli.

Ecco perché €500 al mese non bastano – e rischi di perdere tutto
Nel 2025, per far risultare un anno ‘pieno’ ai fini pensionistici, servono almeno €12.551 lordi all’anno – cioè €1.046 al mese. Se si guadagna meno, l’INPS accredita solo una parte delle settimane. Con €500 mensili, ad esempio, si maturano solo 25 settimane: metà anno.
Quindi sì, si lavora dodici mesi, ma si accumulano sei mesi di contributi. Ripeti questa condizione per anni, e anche dopo tre decenni ti ritrovi con un conteggio troppo basso per accedere alla pensione.
Quando i contributi non bastano, l’unica via possibile è l’assegno sociale. Ma non si tratta di una pensione: è una misura assistenziale destinata a chi ha almeno 67 anni e un reddito quasi inesistente. Nel 2025 l’importo massimo è di €534,41 al mese, per 13 mensilità. E spetta solo se si rientra in limiti di reddito molto bassi.