Il dipendente che è assente dal luogo di lavoro per motivi di salute ha diritto alla retribuzione. Nei primi tre giorni di assenza, spetta all’azienda coprire lo stipendio, seguendo le percentuali stabilite dal contratto di lavoro collettivo. Successivamente, l’INPS interviene erogando l’indennità di malattia.
È fondamentale che lo stato di malattia sia certificato da un medico e attestato in un apposito certificato che specifica il periodo e la durata della prognosi. È altresì necessario essere disponibili per le visite mediche di controllo stabilite dall’INPS. Va sottolineato che l’indennità di malattia INPS ha una durata limitata, al di là della quale non è più erogata.
Poiché questo aspetto è di grande importanza per il dipendente, è consigliabile approfondire ogni dettaglio dell’indennità di malattia, compresa la sua anticipazione in busta paga da parte dell’azienda, con particolare attenzione alle regole di calcolo dell’importo, alla durata e agli obblighi del dipendente.
L’indennità di malattia INPS è destinata a specifiche categorie di lavoratori, tra cui operai dell’industria, operai e impiegati del terziario/servizi, lavoratori agricoli, apprendisti, disoccupati, lavoratori sospesi, lavoratori dello spettacolo, lavoratori marittimi e coloro iscritti alla gestione separata (art. 2 comma 26 della legge 335/95).
Al contrario, non hanno diritto all’indennità di malattia INPS i collaboratori familiari (colf e badanti), gli impiegati dell’industria, i dirigenti e i portieri.
In linea generale, per i dipendenti del settore privato, l’indennità si determina nel seguente modo:
Tuttavia, alcune professioni specifiche presentano eccezioni; ad esempio, i dipendenti di pubblici esercizi e laboratori di pasticceria possono godere dell’80% della retribuzione per l’intero periodo di malattia.
In alcuni casi, il datore di lavoro può assumersi l’onere dell’indennità residua, garantendo un importo simile a quello dello stipendio normale durante il periodo di malattia. La consultazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) specifico è essenziale per determinare l’entità dell’intervento aziendale nell’integrazione dell’indennità di malattia.
L’indennità non è sempre erogata al 100%. In alcune situazioni, l’importo può subire riduzioni:
Per i dipendenti del settore privato, l’indennità di malattia ha una durata massima di 180 giorni in ciascun anno solare per:
Per i dipendenti pubblici, le regole riguardanti la durata e il calcolo dell’indennità di malattia differiscono notevolmente. Contrariamente ai dipendenti del settore privato, i dipendenti pubblici godono di un periodo di malattia compensato non per 180 giorni, ma per 18 mesi.
Nei primi 9 mesi di assenza, il lavoratore ha diritto al 100% della retribuzione. Nei successivi 3 mesi, dal 10° al 12°, l’indennità corrisponde al 90% della retribuzione. Infine, dal 13° al 18° mese, l’indennità si riduce al 50% dello stipendio, mentre dal 18° mese in poi non è più erogata alcuna retribuzione.
Riguardo all’erogazione dell’indennità di malattia, occorre fare distinzioni in base a casi specifici, come sintetizzato nella tabella seguente:
LAVORATORI | INDENNITÀ DI MALATTIA |
Lavoratori con contratto a tempo determinato | Indennità per periodi non superiori all’attività svolta nell’ultimo anno, con un massimo di 180 giorni annui. L’erogazione cessa al termine del contratto. |
Lavoratori agricoli a tempo determinato | Concessa con almeno 51 giornate lavorative nell’anno precedente o previo rilascio di certificato d’iscrizione d’urgenza in caso di primo anno di iscrizione. |
Lavoratori in part-time verticale | Garantita solo nei giorni lavorativi, escludendo quelli di “pausa contrattuale”. |
Lavoratori parasubordinati | Diritto all’indennità in caso di ricovero ospedaliero, per un massimo di 180 giorni nell’anno solare, a carico totale dell’INPS. |
Riceventi Naspi | Diritto all’indennità di malattia, pari ai due terzi della percentuale prevista per i dipendenti. |
Va inoltre sottolineato che chi percepire la Naspi ha diritto all’indennità di malattia, con un importo corrispondente ai due terzi della percentuale prevista per i dipendenti.
Il termine “periodo di comporto” è spesso associato all’indennità di malattia, indicando il periodo in cui un dipendente può assentarsi dal lavoro a causa di malattia senza il rischio di perdere il posto di lavoro.
Oltre ai limiti stabiliti per il periodo di comporto, il datore di lavoro ha il diritto di licenziare il dipendente assente per motivi di malattia. La durata del periodo di comporto varia a seconda della tipologia di impiego, essendo fissata dal contratto collettivo di riferimento. Sebbene comunemente coincida con il massimo indennizzabile dall’INPS, ossia 180 giorni all’anno solare, ci sono eccezioni.
In alcuni Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL), ad esempio, il periodo di comporto è previsto in modo secco, applicandosi solo quando l’assenza per malattia è continua. In altri casi, la somma dei giorni di assenza per malattia usufruiti durante l’anno solare determina il periodo di comporto.
In quest’ultima situazione, vengono considerati tutti gli episodi morbosi verificatisi nel periodo, compresi i giorni festivi durante la malattia (ad eccezione delle domeniche). Importante notare che il periodo di comporto non si applica agli eventi morbosi attribuibili al comportamento del datore di lavoro.
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