Assegno Unico per i figli a rischio: le richieste dell’UE all’Italia e le conseguenze

Assegno Unico per i figli a rischio: le richieste dell’UE all’Italia e le conseguenze

L’assegno unico per i figli a carico, un sostegno economico fondamentale per molte famiglie italiane, potrebbe essere sospeso a causa di una procedura di infrazione avviata dall’Unione Europea. La Premier Giorgia Meloni ha espresso preoccupazione riguardo alle possibili conseguenze, sottolineando che l’Europa potrebbe costringere l’Italia a rivedere i criteri di assegnazione dell’assegno, compromettendo l’intero sistema.

Le richieste dell’Europa

La Commissione Europea ha contestato il requisito di residenza di almeno due anni in Italia per ottenere l’assegno unico. Questo vincolo, secondo Bruxelles, costituisce una discriminazione nei confronti dei cittadini dell’UE, violando i regolamenti europei sul coordinamento della sicurezza sociale e la libera circolazione dei lavoratori. In particolare, il regolamento (CE) 883/2004 e il regolamento (UE) 492/2011 vietano qualsiasi restrizione basata sulla residenza per l’accesso alle prestazioni sociali.

La posizione del Governo italiano

Il Governo italiano, rappresentato dalla Premier Meloni, ha manifestato la propria contrarietà a queste richieste, ritenendo che eliminare il requisito di residenza comporterebbe un aumento insostenibile del numero di beneficiari e, di conseguenza, un peso finanziario eccessivo per lo Stato. Meloni ha dichiarato che adeguarsi alle richieste europee significherebbe dover estendere l’assegno unico anche ai lavoratori extracomunitari con figli residenti all’estero, complicando ulteriormente il sistema di calcolo dell’ISEE, il parametro utilizzato per determinare l’importo dell’assegno.

La procedura di infrazione: dettagli e conseguenze

Tutto è iniziato a febbraio 2023 quando la Commissione Europea ha prima inviato una lettera di costituzione in mora e successivamente, a novembre, un parere motivato, avviando così il procedimento di infrazione. Questo parere (INFR(2022)4113) riguarda il mancato rispetto delle norme UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale (regolamento (CE) 2004/883) e di libera circolazione dei lavoratori (regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

Le criticità specifiche si riscontrano nei requisiti di accesso all’assegno unico. La normativa attuale prevede che per accedere al beneficio sia necessario possedere determinati requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata della prestazione. I beneficiari devono essere:

  • Cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, oppure cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno;
  • Soggetti al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia;
  • Residenti e domiciliati in Italia;
  • Residenti in Italia per almeno 2 anni, anche non continuativi, oppure titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale.

Secondo la Commissione, questa normativa, in particolare il requisito di residenza di almeno 2 anni e la condizione che i beneficiari vivano nello stesso nucleo familiare con i figli, viola il diritto dell’UE poiché non tratta i cittadini dell’Unione in modo equo, configurandosi come discriminazione. Il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta infatti qualsiasi requisito di residenza per il riconoscimento di prestazioni di sicurezza sociale, come gli assegni familiari.

Per queste ragioni, la Commissione ha chiesto all’Italia di adeguarsi al diritto comunitario. In caso contrario, può deferire il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale può emettere una sentenza obbligando lo Stato a conformarsi. In mancanza di tale adeguamento, possono essere imposte sanzioni pecuniarie.

Possibili modifiche ai requisiti di accesso

Considerando la situazione attuale, la prestazione per i figli a carico non dovrà necessariamente essere sospesa. La Commissione Europea non ha chiesto di eliminare l’assegno unico, ma solo di rivedere il requisito di residenza per conformarlo al diritto europeo.

Il Governo potrebbe dunque intervenire modificando i requisiti di accesso, eliminando l’obbligo di residenza di 2 anni per correggere gli aspetti evidenziati dalla Commissione. Attualmente, la prestazione coinvolge più di 6 milioni di nuclei familiari e rappresenta uno dei principali supporti alle famiglie con figli, richiedendo un notevole impiego di risorse.

La Premier ha sottolineato che estendere l’assegno a un numero molto maggiore di famiglie, eliminando il requisito di residenza, potrebbe risultare un onere eccessivo per le finanze dello Stato. “Chiaramente, se devo erogare l’assegno unico a tutti, inclusi i cittadini extracomunitari che lavorano in Italia ma hanno i figli in patria, non riuscirei a sostenerlo.”

Questa situazione complicherebbe anche il calcolo dell’ISEE, il parametro che determina l’importo dell’assegno spettante. Giorgia Meloni ha annunciato di voler affrontare questa sfida, auspicando che la futura Commissione Europea possa essere più pragmatica.

Non resta che attendere per capire quale sarà il futuro della prestazione per i figli a carico.

Considerazioni finali

Il futuro dell’assegno unico per i figli a carico è ancora incerto. La necessità di conformarsi alle richieste europee si scontra con le preoccupazioni del Governo riguardo alla sostenibilità finanziaria del sistema. La Premier Meloni ha annunciato l’intenzione di “dare battaglia” alla Commissione Europea, auspicando che una futura Commissione possa adottare un approccio più pragmatico. Nel frattempo, milioni di famiglie italiane attendono con ansia di sapere quale sarà il destino di una delle principali misure di supporto economico per i figli a carico.